Commento alla prima Lettura della III DOMENIZA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) a cura di M.Francesca e Letizia ap
Dal libro di Neemìa (Nee 8,2-4a.5-6.8-10)
In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.
Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza.
Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore.
I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura.
Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i levìti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge.
Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».
Siamo a Gerusalemme, alla Porta delle Acque, situata a est della città, un luogo importante, nominato tante volte nel libro di Neemìa, perché da quella porta passava l’acqua che veniva portata al tempio per i sacrifici dei sacerdoti.
Siamo al cospetto di due personaggi importanti per la storia di Israele: Esdra e Neemìa, autori della ricostruzione della città e del culto quando Israele ebbe il permesso dal re persiano di tornare dal suo esilio. Siamo prostrati davanti la Legge di Dio, letta, ascoltata, interiorizzata, capace di suscitare lacrime di commozione o di pentimento per tutte le disarmonie che questa trova in chi l’ascolta.
Siamo dentro la storia di un popolo che oggi si riunisce, dopo tempo immemore, davanti alla Parola che l’ha fondato, l’ha liberato, gli ha dato un’identità. È da qui che comincia il lavoro di ricostituzione di Israele come popolo di Dio: dall’ascolto, dal farsi uniti intorno alla Parola che diventa vita e diventa gioia. Siamo anche noi Israele, allora, oggi e sempre, nel momento in cui la Parola di Dio entra a dare un senso a quello che viviamo, quando la «gioia del Signore diventa la nostra forza» nonostante tutte le difficoltà e le paure di questi tempi difficili. Il Vangelo, che vede Gesù nel tempio intento a leggere il rotolo del profeta Isaia, e il brano di Neemìa oggi ci tengono incollati alla Parola come unica sorgente di vita. È la Parola quell’acqua viva e nuova che entra oggi dalla Porta delle Acque e si sostituisce ai sacrifici antichi. Davanti ad Essa anche noi consacriamo ogni nuovo giorno.
Qôl/call
Il giorno consacrato al Signore è il giorno in cui Egli “ha spazio” nella nostra vita, come etimologicamente il verbo “consacrare”, nella sua radice ebraica, ci ricorda. Consacrare è “creare spazi”, vitali, pieni della presenza del Signore in noi e intorno a noi. La gioia sostituirà ogni nostra lacrima, Signore, se tu ci donerai stabilità e solidità nelle nostre incertezze e nelle nostre paure.
sr. M. Francesca
frasca.mfrancesca@apostoline.it