Commento alla Prima Lettura della XXIV Domenica del tempo ordinario (ANNO A) a cura di M.Francesca e Letizia ap
Dal Libro del Siracide (27,33 – 28,9)
Rancore e ira sono cose orribili,
e il peccatore le porta dentro.
28,1Chi si vendica subirà la vendetta del Signore,
il quale tiene sempre presenti i suoi peccati.
2Perdona l’offesa al tuo prossimo
e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
3Un uomo che resta in collera verso un altro uomo,
come può chiedere la guarigione al Signore?
4Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile,
come può supplicare per i propri peccati?
5Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore,
come può ottenere il perdono di Dio?
Chi espierà per i suoi peccati?
6 Ricòrdati della fine e smetti di odiare,
della dissoluzione e della morte e resta fedele
ai comandamenti.
7Ricorda i precetti e non odiare il prossimo,
l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.
Al centro della liturgia di oggi c’è senza dubbio l’invito a perdonare. La letteratura sapienziale lo ripete in questo brano diverse volte, mentre Gesù nel Vangelo dice a Pietro, e a noi, la misura del perdono: «settanta volte sette», cioè innumerevoli volte.
Dopo i due versetti introduttivi sulla necessità di abbandonare il rancore e l’ira, la parte centrale della Prima Lettura di questa domenica è dedicata proprio al perdono, termine che viene ripreso esplicitamente al v.2 (con il verbo «perdona») e al v.5 (perdono). Vi sono, inoltre quattro domande incalzanti (vv. 3,4,5) rivolte a noi che leggiamo: prima ancora che dirci cosa è più giusto fare nei confronti del prossimo, la Parola di oggi vuole che ne diventiamo consapevoli da soli. La domanda, infatti, rispetto a un’affermazione, lascia lo spazio per la riflessione e ci rende protagonisti aspettando una risposta all’interrogativo che pone.
Ci sono diversi modi in cui il testo dice «perdono» (a partire dalla lingua originale). Il primo verbo afes perdona (v.2) ha in sé l’idea di un movimento allude al «lasciar andare le offese», «mandarle lontano, fuori, via da sé», «lasciarle cadere» suggerendoci che il perdono è dinamico e non un’azione passiva. È vero, la capacità di perdonare si riceve come un dono dal Padre («Padre perdona loro», dice Gesù sulla croce) ma è anche attiva perché implica una forza straordinaria da parte di chi lo fa. Il secondo termine (che in realtà nella lingua originale è un verbo: exilaskomai) invece appartiene a tutt’altro campo semantico e dice il perdono come uno «smettere di far risuonare o rimbombare qualcosa», indica la calma, il placarsi, ma alludendo a un frastuono che non c’è più. Una bella catechesi sul perdono, dunque, a cui si potrebbero aggiungere tanti versetti della Parola di Dio e tanta esperienza, sicuramente, di noi che ci siamo messi in cammino dietro Gesù.
Qôl/call
Accanto al perdonare c’è il «ricordati», secondo imperativo della parola di oggi. Lascia andare… e trattieni invece quello che davvero rimane: i comandamenti, l’Alleanza cioè la relazione con il Signore. Quale è il dono di questo tempo che «rimane», di cui mi voglio ricordare nella relazione con il Signore?
sr. M. Francesca
frasca.mfrancesca@apostoline.it