Commento alla Prima Lettura della III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C) a cura di M.Francesca e Letizia ap
Dagli Atti degli Apostoli (At 5,27b-32.40b-41 )
In quei giorni, il sommo sacerdote interrogò gli apostoli dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo».
Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono».
Fecero flagellare [gli apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.
Giorni di testimonianza grande questi che ci portano, pian piano, da Pasqua a Pentecoste. Pietro, non è più solo il “Simone” spaventato di fronte alla croce di Gesù, ma è Roccia, fedele al suo nome, sulla quale anche gli altri possono contare.
In questo ulteriore episodio di persecuzione balza agli occhi, e al cuore, il commento che l’autore degli Atti fa a conclusione: «Se ne andarono, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù» (At 5,41).
Una frase forte, in effetti, perché la gioia di cui si parla è la stessa che prova Maria alla notizia di aspettare Gesù o quella dell’«amico dello sposo» che esulta alla presenza dello sposo con la sua sposa (Gv 3,29). Ed ora gli apostoli sono capaci di gioire ancora per «amore dello sposo» anche se questo dovesse comportare persecuzioni. La gioia più autentica è quella che rimane persino nei momenti della solitudine e di sofferenza perché essi sono l’occasione per vivere la propria relazione con il Signore in modo nuovo. Non c’è nome più bello da pronunciare e per il quale vivere per Pietro e i suoi compagni, perché hanno riconosciuto in quel nome una ragione di vita.
Che importa, Signore, allora, quello che ognuno di noi può e sa fare, quello che conta è poter condividere la gioia dei primi apostoli, che seppero dimenticare i propri tradimenti e le proprie fughe e si lasciarono riamare da te! Di cosa essere giudicati degni, Signore, se non di condividere la tua stessa sorte e poter dare anche noi «la vita per gli amici»!
Qôl/call
Non chiederci conto di altro Signore, se non della gioia di seguirti nonostante noi, nonostante le nostre povertà. E quando, un giorno, come a Pietro, ci chiederai: «Mi ami tu?», che possiamo risponderti di sì e mostrarti quanto siamo stati felici, anche nelle situazioni più disperate, di essere amici tuoi!
sr. M. Francesca
frasca.mfrancesca@apostoline.it