Commento alla prima Lettura della V Domenica di Quaresima (ANNO A),
a cura di M.Francesca e Letizia ap
Dal libro del profeta Ezechièle (37,12-14)
Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio.
Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.
“Potranno queste ossa rivivere?” (v. 3), è la domanda che Dio rivolge a Ezechiele all’inizio del capitolo 37, nella pianura piena di ossa appartenute a coloro che un tempo erano stati donne e uomini vivi. Di fronte alla morte la risposta sembra proprio essere solo una: “No, non potranno più rivivere, ormai tutto è perso per sempre”. E qui a morire sono soprattutto i sogni e le aspirazioni di un popolo, frustrati dalla realtà e dissolti nel nulla: “la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti!” (v. 11).
Ognuno di noi può essersi ritrovato a pronunciare o pensare dentro di sé queste parole che decretano la morte della propria speranza, la fine di qualcosa in cui si credeva davvero.
Chi sblocca la situazione è Dio, è lui che pronuncia queste parole del v. 11 e dà voce così all’amarezza che Israele ha nel cuore, a tutte quelle parole sepolte, eco di un tempo che ormai non c’è più. Ezechiele è il profeta incaricato da Dio di dire al popolo che la storia d’amore con Lui non è finita! Anche in terra straniera, nel dramma dell’esilio che ha segnato fortemente la coscienza del popolo eletto, il Signore è presente, è lì. Ed Ezechiele, attraverso le sue visioni che si fanno parola, diventa voce di una nuova modalità di presenza divina.
«Nessun rabbioso vento invernale raffredderà / e nessuna arida arsura tropicale disseccherà / le rose del roseto che è nostro e solo nostro. / Questa dedica è l’unica cosa che scrivo per farla leggere ad altri: / è fatta di parole private, spedite in pubblico al tuo indirizzo» (T.S. Eliot, A dedication to my wife, 1959).
Le parole consegnate dal Signore a Ezechiele sembrano proprio come questa dedica all’amata, “parole private” perché volte a risvegliare una promessa di alleanza e una relazione di intimità che sono in fondo al cuore e non potranno svanire di fronte a niente; parole “spedite in pubblico” perché capaci di operare un vero rinnovamento spirituale, di aprire i sepolcri dove si è rimasti chiusi e far rivivere un’esperienza. Questo fa l’amore, che non può essere vinto da nessuna morte (cf Gv 11,1-45).
Qôl/call
Dio è presente con le parole della speranza per ridonare la vita, quelle parole “dedicate a me” che oggi posso ricordare oppure attendere con fiducia.
sr. Letizia
molesti.l@apostoline.it