Commento alla prima Lettura della Domenica delle Palme ANNO C,
a cura di M.Francesca e Letizia ap
Dal libro del profeta Isaìa (50,4-7)
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.
I canti del Servo del Signore nel libro del profeta Isaia (cc. 49-53) accompagnano la Settimana Santa, ritmando molte delle letture dalla Domenica delle Palme fino al Venerdì della Passione del Signore. Questi canti sono stati letti e riletti dalla comunità giudeo-cristiana delle origini e dalle prime comunità, e raccolgono una testimonianza di fede preziosa riguardo alla passione e morte di Gesù sulla croce.
La Chiesa delle origini comprende e celebra “il discernimento” operato da Gesù (Cf Fil 2,5-11), quello cioè di volersi riconoscere pienamente nella figura del Servo sofferente di Isaia. È una scelta quella di Gesù.
La profezia contenuta in questi testi non è tanto da intendersi come una premonizione del futuro, dovuta al fatto che certi passaggi nella Passione di Cristo si avverano proprio come sono scritti. La profezia nella Bibbia è, piuttosto, un annuncio di senso. Questi testi rivelano il senso del percorso di vita scelto da Gesù e il significato profondo della sua umiliazione e morte ignominiosa: amare fino al compimento, riempire la morte più ingiusta di umanità e perdono.
Quando l’evangelista Luca nel suo Vangelo vorrà far riferimento a Gesù come Servo del Signore, sottolineerà tra tutti proprio il particolare del volto indurito presente nel brano di oggi (Is 50,7), immagine plastica della ferma decisione di Gesù di andare incontro, liberamente, verso il compimento della sua missione: “Egli indurì il suo volto per mettersi in cammino verso Gerusalemme” (traduzione letterale di Lc 9,51).
Colpisce quanta durezza, fermezza interiore e saldezza d’animo ci vogliano per essere capaci di “indirizzare una parola allo stanco” (Is 50,4), a chi è sovrastato dal male, a chi è caduto e non sa rialzarsi in nessun modo, a chi non vuole svegliarsi al mattino tanto è faticoso vivere.
Perché la vita passi nelle nostre parole, la strada della solidità interiore che Gesù ci indica è quella del Servo che ascolta la Parola, si coinvolge intimamente, ha compassione cioè sviluppa quel sentire con l’altro che diventa anche condivisione del dolore e della fatica.
Tutto ciò richiede di alimentare la fede quotidiana, che non fa vedere molti segni ma che assicura la presenza di Dio, la sua vicinanza nel tempo del non senso. Fino al risveglio nella luce (Cf Is 53,11).
Qôl/call
“Il suo volto era perfetto ma non sdolcinato: come ebreo aveva un volto severo e pensava solo le cose di Dio, ma pensava anche al gelo che gli uomini avevano nel cuore, e il suo amore fu come una fiamma che sciolse tutti i ghiacciai dell’universo” (Alda Merini, Corpo d’amore, Frassinelli 2001).
sr. Letizia
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